sabato 11 settembre 2010

Samurai Jack: il nuovo Mishima


Un cartone animato è pur sempre un cartone animato, d’accordo. Samurai Jack però, è l’esempio di ciò che può produrre l’idea di intrattenimento per ragazzi, unita ad una forte iniezione di ideali e principi non comuni. Non parliamo del solito cartone giapponese, ma del vero e autentico spirito giapponese. Samurai Jack, nato da una felice intuizione di Tartakovsky, narra la storia del figlio di seconda genitura di un imperatore e, per questo, non potendo succedere al trono, è costretto a decidere del proprio futuro secondo la più rigorosa consuetudine giapponese: diventare monaco o samurai. Scontata la sua decisione di vestire i panni di coraggioso guerriero, si dedica alla propria educazione fisica e mentale attraverso un percorso difficile, che metterà a nudo le sue fragilità di uomo, ma che lo aiuteranno a perfezionarsi attraverso un’incredibile successione di avventure. Samurai Jack non è un eroe, bensì un paladino inconsapevole al servizio della Tradizione che con ogni sforzo fonda la sua disciplina oltre che sull’apprendimento delle tecniche guerriere, sugli immutabili ideali legati alla lealtà, all’onore e all’adempimento dei propri doveri. Vuole essere degno del patrimonio morale e spirituale di cui è custode ed onorare la sua condizione di Samurai, pronto a tutto pur di difendere la propria identità ed i propri principi. Catapultato in un epoca non sua per opera di un sortilegio, è deciso a sconfiggere il terribile Aku, responsabile di aver battuto e quindi disonorato, il proprio padre. Uomo solitario ma ironico, è perseguitato da un esercito di grossi insetti robot capaci di imperversare in ogni luogo, mandati dal suo nemico per ucciderlo, ed inevitabilmente sconfitti dalla sua tenacia. Questo continuo scontro con esseri ipertecnologici, assume i caratteri della forza della memoria umana sulle novità contemporanee, rese inoffensive dalla conoscienza. Non si lascia sedurre dalle innovazioni della modernità, dalle luci e dalle incredibili macchine, dagli immensi edifici e da tutte quelle cose che contraddistinguono la nostra epoca. No, egli rifiuta di sentirsi parte di quel mondo sterile ed automatizzato, combatte, oltre che per sconfiggere il suo nemico, per poter tornare nella sua Patria, tra la sua gente, ma soprattutto nel suo mondo feudale, capace di poter udire ancora il vento che sibila tra i boschi di bambù. Veste sempre il suo candido Kimono stretto intorno alla vita, ed i suoi piedi non conoscono che i geta, i classici zoccoli di legno giapponesi mentre, infilata nella cintolala, la splendida Katana d’acciaio simbolo della sua nobile condizione. In questo è Yukio Mishima, difensore della Tradizione e dell’onore, pronto a rifiutare ogni compromesso con la modernità portatrice di falsi valori, sbiaditi ed incomprensibili, e soprattutto in netto contrasto con ciò che è stato il suo Paese e rappresentato il suo Imperatore. Il nichilismo da lui combattuto allora assume le sembianze del diabolico Aku di Samurai Jack, ed il mondo lasciato lontano alle sue spalle, l’anima dell’Antica Terra di Yamato, il premio della vittoria. Samurai Jack, a differenza di Mishima, combatte inesorabilmente e senza tregua, mentre il secondo depone le gloriose armi rivolgendole verso se stesso, arrendendosi alle situazioni ma non agli ideali quale supremo atto di protesta. Ritiene di non dover più combattere perché il mondo è grande mentre lui è solo, e ciò che egli si sentiva in dovere di rappresentare e difendere, degno di morire perché non meritato. Allora rimane soltanto Jack, eroe forte e mai violento, capace di sorridere delle proprie disfatte, ma certamente incapace di arrendersi alle ingiustizie ed alle seduzioni di un’epoca corrotta. Due personaggi, anche se uno frutto della fantasia, legati da sorprendenti analogie; forse per caso o per volontà, il creatore di Samurai Jack, sembra volerci far riflettere su quanto poco i legami con il nostro passato siano presenti nella nostra vita attuale. Un richiamo a scoprire quante cose grandi si nascondono nel nostra memoria, a dispetto di un presente grigio e stereotipizzato, che bisognerebbe ridimensionare a favore della riscoperta delle nostre identità.

Luca Mancinotti

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